martedì 6 dicembre 2005

Elogio del Ficodindia



«Prima lo si comincia a gustare con un certo distacco, ma dopo otto giorni diventa un'esigenza...», scriveva Dumas Padre, come ricordavo in una recensione, sette anni fa, sul GdS, a proposito di Narrando di Sicilia di Gaetano Cosentini, pubblicato da Iblea Grafica.

È il Ficodindia (fico d'india, ficurino, ficupala, ficumora, o come dir si voglia), il frutto "simbolo della Trinacria, della Sicilia, ma anche delle sue isole, delle Eolie, in particolare.

Sta già finendo il tempo dei frutti "natalizi" (ficumori natalisi, a Scicli, ficurini natalisi, a Catania, ficupali natalisi, a Ragusa), e per un po' di mesi il ficodindia sarà solo un ricordo, un desiderio, come quello che rimase impresso nella mente di Dumas, che ne elogiava le dimensioni, oltre che il mitico sapore: «della grandezza di un uovo di gallina... I Siciliani adorano quel frutto...».

E scriveva bene: i Siciliani veraci *adorano* quel frutto, e non a torto.

"Scorciarli" (toglierne sapientemente la scorza spinosa, con precisi tagli di coltellino, senza attirarsi le spine sulle mani) è quasi un'arte, da imparare presto.

Un passatempo "vitaminico", come si può leggere su questa simpatica pagina della Rete Civica della Provincia di Ravenna
Se ancora ne trovate, a Milano come a Ragusa, prima che dicembre finisca, comprateli, i ficupali natalisi, e ricordatevi della Petra ccu Tri Punti posta dall'Altissimo al centro del Mediterraneo.

Nessun commento: