sabato 28 gennaio 2006

Quarta Pagina


Di giornalisti che dicono di essere liberi ve ne sono tanti, ma di quelli veramente liberi, com'era quel grand'uomo di Indro Montanelli da Fucecchio, oggigiorno ce ne sono davvero pochi, purtroppo.

Parliamo di giornali "liberi", non organici, che evitano di schierarsi direttamente o indirettamente. Specialmente in questi tempi di campagna elettorale incombente, in cui le pagine degli organi di stampa, nazionali e locali (sa va sans dir delle televisioni), sono spudoratamente piene di facce di politici (buoni e cattivi) e dei loro discorsi "entusiastici".

Non metto in dubbio il fatto che di questa roba si debba dare informazione al lettore-cittadino (che però, diciamocelo in faccia, ha le ...scatolette piene di promesse ripetitive e vuote di senso) e so bene che i giornali "campano" anche con i proventi delle pubblicità elettorali e a volte "sguazzano" in questa roba, ma noto come progressivamente in questi mesi altri temi che potrebbero interessare molto il lettore-cittadino (che dovrebbe essere il "padrone" del giornale, ma *non* lo è) vengano messi da parte e non trovano lo spazio adeguato.

Come cittadino e come operatore dell'informazione la cosa mi irrita parecchio, non solo quando leggo, ma soprattutto quando scrivo, e i miei pezzi di cultura, di informatica, di pensiero e di storia, le recensioni e le opinioni, prima di apparire debbono sempre avere una tediosa trafila di "contrattazione" con i direttori che, seppure affermino di essere d'accordo sul fatto che i temi sociali e culturali valorizzino i loro giornali, poi, nei fatti, negano quanto affermano, riempiendo le pagine di faccione di politici e discorsi "sul metodo" (a capirlo, quale) e cronaca spicciola dai consigli comunali e dal parlamento, con il risultato che la "quarta pagina" - se la tengono - si assottiglia sempre più.

È inevitabile tutto questo? Non lo so più, forse mi illudo (ma meglio illudersi che deludersi), ma penso che questo con uomini lungimiranti come Montanelli o Longanesi probabilmente non accadrebbe.

Quando lo capiranno certi direttori, e certi editori, che non è necessario sbilanciarsi troppo con le pagine della politica, e che oltre la cronaca, il lettore attento vuol leggere di cultura, di società e di opinioni? Chi ancora pensa di vendere il giornale solo ai politici e ai "professionisti" e non al comune cittadino ha sbagliato mestiere.

sabato 21 gennaio 2006

Big Brother


Il 21 gennaio del 1950 moriva a Londra Eric Arthur Blair, meglio noto come George Orwell.

Delle sue opere ricordiamo Senza un soldo a Parigi e Londra (1933), La fattoria degli animali (1945) e 1984 (1949); quest'ultimo è il libro che tratta del Big Brother, che controlla tutto e tutti nella ipotetica Eurasia, imponendo una neolingua e inducendo forzatamente al bipensiero, con i suoi drammatici slogans: «l'Ignoranza è Forza», «la Guerra è Pace», «La Libertà è Schiavitù».

Winston Smith, protagonista del libro, è incaricato di censurare libri e articoli politicamente scorretti ed ama Julia, di nascosto, visto che il "Partito" vieta il sesso non finalizzato alla procreazione. Winston si vuole liberare da questa angosciosa dittatura, ma non può. Si confida con O'Brien che crede suo amico, e che invece è un funzionario della psicopolizia, governata dal Minamor (ministero dell'amore, che in effetti l'amore intende reprimere), e viene costretto a rinuciare a Julia e alla "Lega della Fratellanza" (l'opposizione, cui vorrebbe aderire) per sottomettersi completamente al Partito. Il Grande Fratello vuole possedere anche l'anima dei suoi sudditi, controllando tutto, dai mass media ai sentimenti.

Le ambizioni di ogni dittatura, dal nazifascismo al comunismo, dall'URSS alla Cina, il ritratto di ogni dittatore, da Fidel Castro a Milosevic, a Ciaucescu a Saddam. Ed anche di leader apparentemente più "democratici" come Ahmadinejad.
Il lavaggio del cervello, l'annientamento della Persona, del Soggetto e il predominio di uno "Stato" che invece è Oligarchia-Monarchia totalizzante.


A confronto di questa angosciosa e terrificante prospettiva, il "Grande Fratello" televisivo fa persino sorridere, "scompisciare dalle risate", come diceva una mia professoressa. Però, più che al controllo dei mass media, mi viene da pensare alla stupidaggine e alla TV spazzatura. I sociologi possono scrivere e discutere a lungo sul fenomeno, visto che tanta gente morbosamente ama e guarda queste cose, mentre non si cura minimamente di leggere il libro di Orwell, la stessa gente che legge i giornali se c'è la novella divorziata eccellente e non li compra se ci sono ottimi servizi di cronaca o recensioni di libri. Sono la maggioranza, e noi che pensiamo il contrario siamo una minoranza. Bisognerebbe riflettere.

Ma i giornali non lo fanno, e le televisioni neppure.

E stranamente in questa "democrazia" il libero pensiero non viene negato dal Big Brother, ma dal popolo stesso che non lo stima affatto.

giovedì 19 gennaio 2006

Stilografica e Computer

Nonostante gran parte della mia attività di informatica e informazione si svolga grazie all'ausilio di computers, software e sussidi informatici vari, continuo a pensarla sempre come Edsger Wybe Dijkstra, il grande maestro dell'informatica, che sottolineava come l'informatica nasca prima nella mente e sui libri e poi si applica al computer. Dijkstra, com'è noto (alcuni suoi appunti sono stati digitalizzati e messi online), scriveva le sue considerazioni e le lezioni sugli algoritmi con una bellissima penna stilografica, e la preferiva a tutte le macchine, ma non per questo si può dire che fosse "contro" i computers.

È solo che i computers sono (ed è meglio che restino) macchine per eseguire velocemente compiti, non oggetti pensanti o capaci di emozioni. E molti oggi lo dimenticano.

Dijkstra amava dire che «l'Informatica non riguarda i computers più di quanto l'Astronomia non riguardi i telescopi» ed anche che «porsi la domanda se un computer possa pensare ha la medesima importanza della domanda se un sottomarino possa nuotare», insomma non serve saperlo. Un computer deve aiutare l'uomo a fare le cose meglio, a consumare meno tempo, meno carta; serve a risolvere algoritmi e problemi; serve a svolgere compiti, e se non sarà mai "Hal 9000" non fa nulla, anzi è meglio per tutti.

Purtroppo dalla quotidiana esperienza mi accorgo che per grandi e piccini computer vuol dire fretta di sedersi davanti ad un monitor, premere un pulsantino e scrivere su una tastiera, senza mai porsi domande analitiche su come funziona, quali algoritmi usa, cosa c'è dentro ed altre legittime curiose questioni.

Non tutti, per fortuna, ma molti fanno così e man mano che l'informatica diventa un affare comune nella nostra vita quotidiana e nelle nostre case, invece di crescere la cultura informatica decresce e delude.

Non voglio (e non lo faccio) parlare di certi corsi tipo "ECDL" che pretendono di "insegnare il computer" spiegando solo MS Office, come se quello fosse *tutto* il computer, senza nemmeno accennare al fatto che ci sono vari sistemi operativi, vari modi di progettare ed intendere le macchine, senza dire che ci può essere il software commerciale e quello Opensource e sa va sans dir...

Vorrei solo che si riflettesse un po', e si ricominciasse magari dalla matematica, dall'analisi, dalla filosofia e dalle lettere. Sì. Potrebbe a prima vista sembrare strano, ma l'Informatica non ha molto senso se non comincia da là, dalle sue basi. Non ha senso saper usare "Powerpoint" e poi non sapere che il linguaggio di programmazione in cui è creato non può prescindere da Gauss, Eulero, dalla teoria dei grafi, da Wittgenstein, dalla logica e da anni di arte grafica, dalla tipografia, dal problema dei quattro colori e da quant'altro. Anche se non si può sapere tutto, almeno un'idea di questo bisogna averla, e bisogna anche insegnarla con questo nuovo spirito, nelle scuole.

Forse sogno, ma intanto anch'io, come Edsger Dijkstra, scrivo i miei articoli prima con la stilo e poi con TextEdit.

venerdì 6 gennaio 2006

Uomini di pace e uomini per così dire


Ariel Sharon, falco e colomba della recente storia israeliana, sta vivendo ore drammatiche, e al di là di ogni considerazione positiva o negativa sul suo operato, fanno davvero ribrezzo le parole di Ahmud Ahmadinejad, presidente della Repubblica Islamica di Iran: «Il macellaio di Sabra e Shatila ha raggiunto i suoi antenati e altri lo seguiranno presto [...] Dobbiamo credere che l'Islam non ha confini geografici, gruppi etnici e nazioni. È una ideologia universale che conduce il mondo verso la giustizia.».
Noi che l'Islam vero lo conosciamo, che lo abbiamo studiato ed anche apprezzato, noi che abbiamo tradizioni storiche (come quelle siciliane) di commistione tra modelli culturali cristiani ed islamici, noi che viviamo in città e quartieri a contatto con maghrebini e arabi e albanesi, non possiamo credere davvero che l'Islam sia questa accozzaglia di odio e disumanità a cui il Rais di Teheran, lo vorrebbe ridurre. Crediamo invece che l'Islam è simbolo di pace e concordia, di amore in Dio e nella verità.
Non possiamo non respingere con forza le parole di chi si ostina a negare l'Olocausto, di chi vieta ai suoi cittadini l'ascolto della musica pop (perché sarebbe anti-religiosa), di chi non ha il minimo senso diplomatico e nemmeno il senso della storia (pur avendo studiato in una delle migliori università del Medio Oriente).
Ariel Sharon è stato uno dei principali artefici del processo di pace in Palestina, e questa affermazione è suffragata finanche da Mahmud Abbas (Abu-Masen), che della Palestina è il leader. Negarlo è ipocrita.
Speriamo, umanamente, che il leader israeliano possa continuare i suoi giorni, e che, se lui non potrà, il cammino di Israele (e di Kadima, Avanti, il nuovo partito da lui fondato, in vista delle prossime elezioni nel Paese) possa essere guidato da un leader di altrettanto carisma, probabilmente Ehud Olmert, o magari quel carismatico Shimon Peres, anch'egli pietra miliare della storia di Israele e del processo di pace con la Palestina.
Ci saranno due stati che possano convivere pacificamente, nei luoghi santi? Ci ostiniamo a credere di sì.
Lunga vita a Sharon, e che Dio possa far ravvedere certi avvoltoi che non sanno tenere la lingua a bada.
Per chi volesse seguire le sorti del presidente Sharon, segnaliamo anche i programmi multilingua di KOL Israel.

giovedì 5 gennaio 2006

Maledetti Spammers


Un'amica, che evidentemente - come tanti - non ne può più di ricevere in mailbox lo "spam" quotidiano mi chiede: «ma questi spammers non muoiono mai?». No, purtroppo, anzi si riciclano, spesso con risultati a dir poco ridicoli, come quelli che ti mandano il messaggio di una vincita ad una (finta, fintissima) lotteria a una decina di account (e per fortuna dovevi essere il solo a vincere nella tua città), quelli che ti promettono le "cremine" per far ringiovanire i vecchietti, quelli che si fingono americani (e poi son cinesi o congolesi) e ti salutano con «Good day Mister», quelli che si firmano "Doctor" e mandano la stessa solfa fotocopiata e inutile...
Quelli degli imbecilli che chiedono di "far girare a tutti quelli che conosci" l'ennesima "Catena di Sant'Antonio" elettronica per raccogliere fondi per un bimbo malato (mai esistito o già morto) sarebbero pure patetici, se non fossero da fucilare (perché tolgono spazio con queste cretinaggini a messaggi che *veramente* potrebbero essere utili per salvare vite umane.
Poi vi sono quelli che si fingono figli, nipoti, mogli, zie, collaboratori di famosi politici e regnanti e vorrebbero mettere i loro soldi nella vostra banca dandovi un compenso: non rispondete, pregate che schiattino, loro e la loro stirpe: vogliono solo fregare i vostri, di soldi.
Altri sono ben più pericolosi, se non vi si sta attenti, come quelli che fanno finta di essere Paypal e chiedono di rinnovare il vostro account (non fatelo mai!). Non rispondete mai a sconosciuti e a chi vi chiede di registrarvi ancora su eBay, non fornite mai le vostre password a nessuno che non sia autorizzato (anzi, a nessuno mai: i moderni sistemi informatici non hanno bisogno di chiedervi i dati per email).
Dei politici (di ogni colore, movimento, alleanza, partito, unione, casa che siano) che insozzano di email di propaganda le nostre caselle, a dispetto della vituperata legge sulla "privacy" ne parleremo in altra occasione. Intanto diciamo solo che la loro attività è del tutto inutile, sono degli "unopinion leaders": per il 95% i loro messaggi vanno ...nel cestino, non letti.
E tralasciamo l'annosa storia dei produttori di virus informatici, novelli untori che non fanno venire alla mente tanto i monatti, quanto la Nèmesi...

Come faccio io? Per fortuna il mio Mac OS X sposta nel cestino di Mail il 90% di tutta la porcheria che arriva, ma altri mailer purtroppo (in Windows, o anche in Mac) non lo fanno, e bisogna stare attenti, a parte la noia di leggere almeno i subjects di decine di idiozie in forma di messaggi. Mettere dei buoni filtri, junk mail, delle "regole" per ottenere questo risultato è opportuno. E - per chi usa Windows - aggiornare *spesso* gli antivirus.

Ma da dove deriva il termine "Spam"? Perché chiamiamo così l'attività di questi mitomani?
La teoria più accreditata associa la sporca attività alla nota marca di carne in scatola americana, SPAM appunto.
La SPAM (Spiced Pork And haM), è "carne di maiale speziata con prosciutto", e fu immessa sul mercato americano dalla società statunitense Hormel Foods nel 1937 e in quello britannico nel 1941. La fecero diventare famosa gli episodi dei Monty Python, trasmessi dalla BBC dal 1969 al 1974. In uno di questi simpatici episodi, si cantava, appunto "Spam, spam, spam..."
Ma la simpatia non è di casa, tra i moderni imbrattatori di email, che sono solo volgari, e fastidiosi.

Sì, cara amica, ce lo auguriamo, che possano morire presto, uno per uno. E che intanto i Governi e le Autorità che vigilano su Internet li scovino e li facciano a pezzi, come ...carne di porco speziata con prosciutto, ma di quello scadente, putrido come loro.