venerdì 28 luglio 2006

Scrivere senza Ordini

Liberalizzazioni, una parola che tutti pronunciano, ma pochi vogliono attuare veramente. Se ne contendono la paternità, oggigiorno, destra e sinistra.
Continueranno quelle proposte da questo Governo e dal Ministro Bersani, o saranno – come qualcuno ha paventato – un fuoco fatuo e un inutile tartassamento sui tassisti?
A giudicare dalle recenti levate di scudi di avvocati e farmacisti, qualcosa si muove.

Non sappiamo sino a che punto si spingeranno, se – come più volte auspicato dalla Comunità europea e come segnalato, tra gli altri, da Daniele Capezzone e dal suo partito – si arriverà al superamento degli Ordini Professionali e degli Albi, ma temiamo che le "corporazioni" dei professionisti difficilmente cederanno e ammetteranno che la difesa corporativa dei privilegi non è più attuale, è roba del peggiore fascismo, oggi invisa alla destra come alla sinistra, ma purtroppo ancora viva e vegeta.
Soprattutto l'Ordine e l'Albo dei Giornalisti, che fine faranno? Saranno mai toccati, o lo strapotere dei Mass Media farà fronte contro e si arroccherà, tanto da costringere il Governo alla retromarcia?
Domande senza risposte, al momento, ma che invitano ad una attenta riflessione.

Già nel 1993, in alcune Interviste di Radio Radicale, Diego Novelli, Emanuele Macaluso, Guglielmo Castagnetti, Carlo D'Amato e Silvano La Briola si erano pronunciati contro il mantenimento di quell'Ordine che Marco Pannella aveva proposto di abolire, ma che mai è stato toccato, come se queste voci fossero non quelle di autorevoli personalità, ma quelle di gente senza importanza. Persino quel Clemente Mastella, ora ministro e allora esponente DC, dichiarava: «Bisogna stabilire condizioni diverse per il reclutamento dei giornalisti. La cosa risibile è questa: si è molto parlato di voto di scambio, di raccomandazioni... nessuno ha mai spiegato come si arriva ad essere giornalisti. Si passa attraverso le raccomandazioni, con poche libertà di scelta». Chissà se oggi il Ministro la pensa allo stesso modo, ma quella sua di allora è un'opinione condivisa da molti.
Dell'abolizione, o del superamento degli Ordini professionali, se ne parla, in giornali e siti web, ne parla Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica: «Si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione liberale che segnerebbe in modo importantissimo la politica economica del governo». È vero: sarebbe anche questa una rivoluzione liberale, e troviamo strano che tanti liberali, stranamente, levino gli scudi contro, con la scusa di tutelare una professione, invece cercano di arrampicarsi sugli specchi difendendo privilegi indifendibili.

Il decreto Bersani, ovviamente, non piace a chi degli Ordini si occupa, come Franco Abruzzo, presidente dell'Ordine lombardo, che in questo articolo intitolato Il "fuoco amico" del governo Prodi affonda la piattaforma della FNSI, si lamenta dei problemi che il decreto introdurrebbe con la paventata liberalizzazione delle tariffe professionali per giornalisti freelance (iscritti all'Ordine); Manlio Cammarata, in questo articolo (Giornalisti free lance bastonati da Bersani e Visco?), dà una lettura diversa dello stesso problema, concentrandosi sugli aspetti finanziari delle proposte del Governo.
Il problema non è solo "tariffario" o "pensionistico", ma investe anche aspetti più importanti: la preparazione, la competenza, la libertà del giornalista. Gilly Castellano su questa pagina pubblica un'Indagine Censis: giornalisti liberi, ma non troppo. L'indagine è stata commissionata al Censis dall'Ordine dei Giornalisti, e i risultati non sono proprio esaltanti per chi vorrebbe a tutti i costi affermare che il giornalista è ipso facto libero...
Liberi dalla politica? Liberi dagli Editori, Liberi dall'Ordine? Liberi da se stessi?

La questione se l'Ordine serva o meno non è nuova. Il 15 Giugno del 1997 si tenne un referendum fortemente voluto dai Radicali e da Marco Pannella. Vi fu certo un difetto di informazione (doloso?), al Popolo italiano non interessò molto, e solo il 30% andò alle urne: quorum non raggiunto, di questi, però, il 65.5% si è espresso per il sì e il 34.5 per il no. I tempi non erano maturi, come si direbbe? Da allora gli echi di questa riflessione non si sono spenti.

È davvero utile l'Albo? tutela il giornalista, in questi tempi in cui la libertà di stampa viene da più parti attaccata, o tutela – piuttosto – i privilegi? Chi lo vuole difendere a tutti i costi, e chi lo vuole invece affossare?
Ordini e albi sono invenzioni prettamente italiane (retaggio corporativista): all'estero esistono le Associazioni di Categoria, che non sono la stessa cosa, e allo stesso modo vengono tutelate professionalità, competenza e libertà dei professionisti. In America o in Inghilterra per diventare giornalisti bisogna saper scrivere, essere preparati, averci le p****, seguire la deontologia ed essere corretti e non violare le leggi, non serve un Albo e un Ordine per dare "patenti".
La Costituzione Italiana, all'art. 21, sancisce la libertà di opinione e di pensiero in tutte le sue forme, ma ancora oggi se la stessa cosa la scrive il giornalista iscritto all'Albo c'è un dato regime civile e penale, se la scrive un cittadino non iscritto ci sono soprattutto divieti, ordini, sanzioni, persino il carcere, in taluni casi. È normale tutto questo? È concepibile?

Francesco Gavazzi ed Eugenio Scalfari se ne sono occupati a Dicembre 2005, suscitando le ire di Franco Abruzzo, sul Corriere della Sera, che tuona – vedasi questa pagina – anche contro Massimo D'Alema, ora Ministro degli Esteri, che ha confessato in televisione di aver votato, nel 1997, con Marco Pannella, a favore dell'abolizione dell'Ordine. Il Ministro sarebbe "ingrato" in quanto anch'egli giornalista professionista...
Tra le motivazioni per l'opposizione all'abolizione si cita anche il problema del segreto professionale, questione certamente non secondaria, anzi..., ma che all'estero è tutelata diversamente, senza bisogno di Ordini professionali, e non per questo facilmente violabile: e volendo, anche da noi...
E via discorrendo.

Si è persino aperta una discussione sul valore legale della laurea: da abolire? In Inghilterra la laurea non ha valore "legale", e le università inglesi sono tra le migliori. Per quanto riguarda i giornalisti, si potrebbe pensare, da un lato, "l'opportunità" (non obbligo) di una laurea in Scienze della Comunicazione per i futuri giornalisti, e, dall'altro, a nuovi e diversi metodi per qualificare la professionalità. Anche qui serve una seria riflessione, non servono arroccamenti, ideologie, denuncie penali o bavagli. Parliamone...

I farmacisti paventano la serrata perché i farmaci si potranno vendere al supermercato, giusto e sbagliato al contempo: bisogna assicurare certezza e qualità per questa ipotetica vendita. I giornalisti faranno la serrata se gli si prospetta di chiudere l'Albo?
Il problema che nessuno vuole discutere rimane: per essere giornalisti – stante lo status quo – bisognerebbe essere iscritti al famoso Albo, e per esservi iscritti bisogna aver scritto in un organo di stampa per un tot tempo e per tot articoli: il cane che si morde la coda, perché chi già sta dentro si ostina a cercare di non far entrare i nuovi (a meno che, come direbbe Mastella, non siano raccomandati), non ditemi che non è così...
Sappiamo bene che per alcuni "arrivare" all'albo è un mito; c'è anche chi sogna il famoso "tesserino" anche di notte (magari poi cercando di impedire agli altri di arrivare a questa mèta). Posizioni legittime (ci mancherebbe), anche se sarebbe meglio far loro capire che non si impara a scrivere o si diventa veri giornalisti solo possedendo un pezzo di carta plastificata, e soprattutto che l'iscrizione non serve ad impedire ai nuovi di entrare, non è un privilegio...
E chi sta fuori e dell'Albo non ne vuol sapere? Chi non ha rinnovato (volontariamente) l'iscrizione?
E i bloggers, e chiunque voglia esprimere liberamente la sua opinione secondo le leggi e la Costituzione Italiana (libertà di pensiero e opinione) senza essere perseguito, denunciato, calunniato, arrestato solo per aver detto qualcosa, e reo solo di aver scritto pur non essendo iscritto ad un Ordine? Che diritti e obblighi dovrà avere? Potrà stare certo che non gli sequestrino il sito, solo per censura?
Insomma, chi potrà scrivere e parlare, in questo Paese democratico?

Le liberalizzazioni, appunto, tutti le volevano, ma quando si stanno facendo tutti le osteggiano: meglio far finta di cambiare affinché nulla cambi, come direbbe il Gattopardo.